Torino si prepara alle elezioni amministrative del prossimo autunno. Se il Pd e il centrosinistra pensano alle primarie, anche per trovare margini di alleanza con il M5s, il centrodestra sembra compattarsi intorno all’imprenditore Paolo Damilano. Tuttavia i grandi progetti politici si dovranno confrontare con la realtà del debito e la necessità di trovare nuove risorse.
CONTI ALLA MANO
Il rendiconto della città per il 2019 è stato approvato con due mesi di ritardo, il 27 luglio 2020. Il disavanzo ammonta a 3,9 miliardi di Euro e ogni residente sostiene un debito di 3.824 Euro. Secondo l’analisi di Crif, un’agenzia di rating del credito, i mancati incassi fra entrate tributarie, extratributarie e permessi di costruire ammontano a 196 milioni di Euro.
Alle minori entrate si somma la rigidità strutturale del bilancio. Il 36% di quanto incassato è destinato a coprire le spese fisse: più di un terzo delle entrate è dunque impiegato per pagare i dipendenti e per far fronte agli interessi maturati sui prestiti degli istituti di credito. Un indebitamento che potrebbe essere evitato, se lo Stato e la regione trasferissero in tempi certi i fondi destinati ai comuni.
Una delle voci più consistenti del debito della città riguarda proprio la restituzione dei mutui, contratti tra il 1998 e il 2016 per rimediare alla crisi di liquidità. Fra i principali creditori ci sono Cassa depositi e prestiti e banche come Intesa San Paolo e Unicredit. Gli interessi pagati su queste somme oscillano tra il 4 e il 5%: tassi ben superiori a quelli di mercato. A novembre il consiglio comunale ha approvato una mozione perché si trovi un accordo con gli enti creditori sulla sospensione del pagamento delle rate di mutuo e degli interessi per almeno due anni.
Dulcis in fundo le anticipazioni di tesoreria: una modalità per appianare la mancanza di entrate e così cercare di chiudere in pareggio, attraverso un prestito del Tesoriere Unicredit. L’anticipazione, nel solo 2019, è pari a più di 1,3 miliardi di Euro.
I POCHI INCASSI
La carenza di liquidità del comune è dovuta alla scarsa capacità di riscossione. Nel rendiconto 2019 i residui attivi – le somme accertate e non incassate dal comune in ciascun esercizio – giungono a quasi 1,1 miliardi di Euro. Consistente è anche il fondo crediti di dubbia esigibilità, che contiene somme difficilmente recuperabili: al 31 dicembre 2019 ammontava a 865 milioni, con un surplus di disavanzo di 185 milioni da ripianare in 15 anni, a partire dal 2021.
L’indebitamento ha portato il comune a non poter investire in diversi settori a impatto sociale (missioni), dall’istruzione allo sviluppo sostenibile, alle politiche sociali. Secondo i dati del bilancio consuntivo 2019 aggregati da Open Bilanci, la maggior parte delle risorse è stata impiegata per spese correnti. Solo nell’ambito dei trasporti e della mobilità il comune ha effettuato un investimento pari al 42% della spesa complessiva.
Paolo Lubbia, direttore della divisione risorse finanziarie e del servizio bilancio, sostiene che la città non può più indebitarsi: «Stiamo portando avanti vendite straordinarie e il vendibile è quasi finito; servono politiche di contenimento e razionalizzazione delle spese». Il ciclo di dismissioni avviato sotto la seconda giunta Chiamparino, tra il 2006 e il 2011, non è più sufficiente. Il rischio è che la Corte dei conti dichiari il pre-dissesto del comune: in questa ipotesi è previsto un piano di riequilibrio, che comporta un aumento delle tasse e un taglio dei servizi.
Ripianare il debito, contenere la spesa e far ripartire gli investimenti. La vittoria su queste sfide dipenderà dalla capacità di pianificazione della nuova amministrazione. Il libro dei sogni si è ormai chiuso: è il momento di concretizzare.
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