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Centrale davvero. Idee per la biblioteca che verrà.
Paolo G. comment 0 Comments access_time 11 min read

Qualche tempo fa sono entrato in una biblioteca torinese per leggere un articolo segnalato da un amico; ho trovato ad accogliermi un grande tavolo quadrato con delle persone intente a leggere, sedie da liceo intorno ed un addetto allo shushing, che evidentemente si guadagna da vivere intimando il silenzio ad ogni anche impercettibile rumore.

Mi sono seduto, ho letto il mio articolo, poi un altro, poi ho iniziato a osservare: persone anziane che passano il tempo, giovani studenti che leggono cose trovate in biblioteca o portate da casa, tutti vagamente scomodi ma tutti serissimi e silenziosi.

I giornali sono di carta e infilati in vecchi scaffali, i libri si possono prendere in prestito con modalità simili a quelle della mia infanzia, e poi viene timidamente prospettata la possibilità di avvalersi di un servizio online, che durante la pandemia ha conosciuto una crescita davvero importante; peccato che il servizio sia vincolato alle regole e rigidità di molti editori, che limitano le “copie virtuali” disponibili, e che per godere di una bella esperienza servirebbe uno strumento che lo permetta, cosa non così comune.

Le mie figlie hanno poca esperienza di biblioteche; le scuole non le hanno o non le promuovono.

I nostri prestigiosi licei non possono assumere persone dedicate e usano quindi i professori, che vorrebbero limitarsi ad insegnare bene le loro materie, invece provano su una piattaforma virtuale, gelosamente custodita, a simulare un bibliotecario. Cosa che ricorda il trattamento riservato al digitale, spesso nelle mani di qualche parente dei dirigenti scolastici; non per nepotismo o lucro, ma per necessità: non essendo possibile, ad esempio, assumere tecnici nella scuola primaria, ci si affida a volonterosi cugini o a genitori o a conoscenze di quartiere.

Quanto alle biblioteche pubbliche, citerò un ottimo dirigente ora a riposo, che un giorno mi disse: “negli anni ci hanno mandato le persone che non sapevano dove collocare, pensando che qui facessero meno danno che altrove; siamo stati per decenni l’ultima spiaggia del dipendente comunale, una sorta di pensionamento anticipato”.

Con queste premesse, e visti i tagli che hanno sempre massacrato queste istituzioni, quello che rimane ha comunque del miracoloso. Ma non ha nulla di contemporaneo, e le nostre biblioteche attirano soprattutto studenti che non hanno a casa le condizioni migliori per studiare e meno che mai in gruppo, o che cercano, con alcuni pensionati, un posto riscaldato ed economico; non è così in assoluto, ci sono anche ricercatori, bravissimi e agiati professori e biblioteche scoppiettanti, ma parliamo di eccezioni.

Non conosco bene i dati, ma ho letto che in Italia solo il 15% della popolazione frequenta una biblioteca; credo che il numero inglese stia intorno al 70%, semplicemente perché le biblioteche sono diffusissime, facilmente accessibili, possiamo dire consuete; anche per un americano è abbastanza normale usare le biblioteche, i numeri sono calati dopo la pandemia ma le biblioteche statunitensi continuano ad essere frequentate da più di metà della popolazione.

Qualche anno fa ho avuto la fortuna di trascorrere un mese a New York, vicino alla Brooklyn Public Library, che ad agosto era sempre strapiena ed incasinata: perché è un posto gradevole, per le decine e decine di corsi, incontri, iniziative che si tengono li, ma soprattutto per il cartello, ben visibile all’ingresso, “QUI NON CHIEDIAMO A NESSUNO I DOCUMENTI”. La biblioteca pubblica di Brooklyn ha deciso di essere al servizio di chiunque, perché un clandestino diventerà americano o tornerà al suo paese, ma in ogni caso deve poter frequentare un corso, leggere un libro, trovare la sua strada.

Erano i giorni in cui Trump iniziava la sua campagna strascicando “the waaaaallllll” ed  io avevo stranamente intuito che non sarebbe stato una meteora; però, seduto in quella biblioteca, mi sentivo accolto dall’America che preferisco, quella aperta e multiculturale che oggi sembra essersi un po’ smarrita.

Ci sono poi queste meravigliose biblioteche in giro per il mondo, tutte vetro e acciaio, con sedute fantastiche, caffetterie, alberi, luce: collocate al centro delle città, piene di vita, di ragazzi, di colori. Non sono quasi mai solo biblioteche, ma anche cinema, sale concerti, centri di competenza digitale, palestre di yoga, isole di socialità; i libri non sono quasi mai decorativi, perché stanno al centro dell’ecosistema: e se anche uno passa perché il frullato è buono, comunque un libro lo sfoglia e forse lo legge e forse poi si abitua all’idea che sia piacevole trascorrere del tempo così.

Qualche giorno fa ho letto che la mia città, Torino, sta per avviare la costruzione della nuova biblioteca civica sul fiume, in un luogo bellissimo e abbandonato da tempo; un posto dove si tenne tanti anni fa il primo Salone del Libro, poi migrato altrove, e che sarà nei prossimi anni al centro di un investimento superiore ai 100 milioni di euro.

Non lo nego, ho accolto con qualche scetticismo la notizia: a Torino ci si ricorda bene del progettone della biblioteca Bellini sulla Spina 2, a memoria 16 milioni buttati; però forse la storia ci ha insegnato qualcosa, e sapremo fare tesoro di quell’esperienza.

Sono dunque tornato a godere del silenziatore prezzolato, mi sono seduto sulla sedia scomoda al tavolo spartano e, facendo finta di sfogliare una rivista patinata, ho provato ad immaginare il posto che vorrei. In ordine sparso, o forse no.

  • Luce. Senza esagerare, è fantastico leggere in un prato; il parco sul fiume  si presta, bisognerebbe estendere la biblioteca a quello che la circonda, immaginare come le persone possano stare bene nelle varie stagioni, ricoverare i libri ma non i lettori, che dovrebbero confondersi tra il verde e l’acqua.
  • Esperienza. Io a casa mia leggo su una poltrona comoda, con una bevanda, a volte cibo, una coperta quando fa fresco; soprattutto ai nostri ragazzi dobbiamo raccontare che leggere non è “quella cosa che fai perché te lo ordinano a scuola”, cosa che facciamo mettendoli di fronte ad un banco, su una sedia punitiva e di fianco al cartello “SILENZIO”; ovviamente servono spazi per studiare, ma servono di più forse spazi comodi per “acclimatarsi”, luoghi piacevoli dove si sta con i libri e con le persone, dove trascorrere del buon tempo. In fondo molti ragazzi stanno al bar, Starbucks, senza troppa bellezza, su wifi, caffè e studenti ha costruito un impero.
  • Semplicità. Non si può essere accolti da un gabbiotto scuro, trovare indicazioni poco chiare, intravedere a fatica libri nascosti negli scaffali. La biblioteca deve funzionare come un parco dei divertimenti, proporre al meglio le sue attrazioni, accogliere i curiosi, accompagnarli, e sorprenderli; soprattutto, deve essere semplice, essere una guida efficace, preoccuparsi di parlare un linguaggio comprensibile, a partire da quello “visivo”.
  • Accessibilità. La biblioteca deve essere accessibile a chi ha difficoltà motorie o cognitive; deve regalare a queste persone tutta l’attenzione che non hanno altrove, deve attirarle e aiutarle. Il nostro è un paese anziano, scongiurare percorsi di chilometri o lunghi tempi trascorsi in piedi aiuta tutti, usare il digitale per aumentare caratteri o rendere le letture più semplici anche. Così come fornire alle persone strumenti funzionanti, un pc obsoleto è come un libro stampato male.
  • Comunità. La biblioteca deve essere una comunità, anzi, tante comunità diverse. Per costruirle nel 2026, serviranno persone in grado di parlare con strumenti nuovi, serviranno esperienze che coinvolgano i ragazzi, iniziative strutturate e permanenti: una radio, una redazione digitale, spazi dove si registrano canzoni e podcast o dove si producono video, arte digitale, e forse metaversi sensati. Occorre costruire relazioni, dialogare con le scuole, mettersi in rete con le biblioteche scolastiche, formare davvero persone che ci si dedichino, attirare scrittori, artisti, scienziati, musicisti. Occorre rendere la biblioteca centrale davvero, e non solo per il nome o la collocazione. 
  • Innovazione. Vorrei entrare nella nuova biblioteca, collegarmi ad una potente rete wifi e avere a disposizione tutto quello che è stato pubblicato nel mondo, sempre. Vorrei leggere sul mio dispositivo personale, o su quello che mi viene prestato, qualsiasi cosa senza limitazioni; e forse anche vedere o ascoltare qualsiasi cosa. Unica regola, devo stare nell’area del wifi della biblioteca, devo stare fisicamente lì. La biblioteca deve essere come un torrent, come la tessera pirata di Stream, come un all you can eat senza regole: ovviamente avendole quelle regole, ma implicite, perché si sarà riuscito a spiegare a editori e politici che serve rendere quel posto speciale, attirare milioni di persone, diventare un fantastico spotify/netflix di tutto il talento umano. Ci vogliono idee e regole, impegno di tutti e onestà: investimento nel medio periodo, perché nel lungo periodo tutti avranno guadagnato qualcosa.
  • Democrazia. Le biblioteche devono favorire i democratici, per come li intendo io, e quindi anche permettendo loro di pagare perché altri non lo facciano. Per me che ho a disposizione infinite piattaforme sarebbe normale pagare Netflix o Spotify un euro in più ogni mese, per favorire gli utilizzi che ho descritto prima; sarebbe ovvio pranzare ogni tanto in biblioteca per aumentarne i ricavi, sponsorizzarne il lavoro come ho potuto fare con la British Library, portarci un cliente, investirci un po’ in generale. Le biblioteche poi devono parlare con chi è più difficile da raggiungere, avvicinarlo per sostenerlo nella compilazione di un modulo online, nella rinegoziazione di una bolletta: tante micro attività che la biblioteca non deve “fare” in prima persona ma “agevolare”, mettendo a disposizione spazi per volontari o associazioni o, perché no, startup che possano migliorare un po’ la vita delle persone.
  • Cultura. Arriva un po’ in fondo nella lista, forse perché nella mia testa è scontata. Una biblioteca deve essere un soggetto proattivo, deve attirare la cultura, deve produrla; dall’alto, dal basso, dando voce a chi ne ha poca o rilanciando quella di chi già ne ha. Deve evitare come la peste politici e politicanti, cortigianerie e autoreferenzialità: perché non funzionano. Alle mie figlie interessano persone che sono brave nel loro mestiere, che hanno un talento; non convegni fatti per parlarsi addosso, buoni solo per gazzettini e vanità locali.
  • Tempo. Vorrei poter andare in biblioteca dopo cena, ascoltarmi un disco, bermi un bicchiere, incontrare un autore che non conoscevo; vorrei farlo anche nel weekend, quando ho tempo, quando potrei proporre alle mie figlie di venire con me per vedere insieme un vecchio film, con le cuffie su uno schermo grande e poltrone comode; vorrei vedere dei ragazzi con le casse bluetooth e i jeans bassi, arrivare per collegarsi al disco pop del momento, scoprire che quel giorno c’è un film forse  interessante, e poi che c’è un libro da cui quel film è tratto. Ci vuole tempo per la scoperta, e non si trova quasi mai nei giorni feriali tra le 8 e le 18.
  • Futuro. Dovremmo sempre avere l’idea che tutte quelle cose scritte o suonate o filmate provengono dal passato ma sono destinate a riprendere significato nel nostro futuro; e dovremmo poter esplorare le miniere che sono i nostri archivi e le nostre collezioni, con la certezza che troveremo indicazioni per i nostri anni a venire, per i figli, per la cura del mondo. Ci sono pagine scritte negli anni ’70 che parlano di intelligenza artificiale, di mondi connessi, di pandemie: stanno rinchiuse negli archivi, custodite da persone preziose che vorrebbero raccontarcele, e che invece passano la vita a soddisfare burocrazie inutili.

Infine, una biblioteca è fatta dalle persone che ci lavorano, capaci di alimentarla e rinnovarla, di cambiarla ogni giorno; una biblioteca vive della passione di chi apre le porte e accende le luci, di chi regala qualche sorriso e parole intelligenti. Come altrove, ma più che altrove, una biblioteca ha bisogno di persone felici, così che possano rendere felici noi.


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