Molte amministrazioni in giro per il mondo hanno deciso da tempo di affidare ad una persona di provata competenza la gestione delle attività digitali, ruolo che negli anni si è modificato ed allargato coerentemente con la sempre maggiore rilevanza e pervasività delle attività che insistono sul digitale a vario livello.

Londra, nel 2017, ha deciso di dotarsi di un Chief Digital Officer e gli ha assegnato, più o meno, tutte le responsabilità che elenco di seguito; ho cercato di contestualizzarle al meglio:

  • Guidare la definizione delle policy relative alla Digital Transformation, agendo su diretto mandato del Major (che è un sindaco “federale” nella capitale inglese).
  • Prevedere per tempo l’impatto delle nuove tecnologie, e lavorare su regolamenti e riforme adeguate: si pensi a tutto il dibattito taxi/Uber, ai monopattini, alla gestione dei dati, et cetera.
  • Orientare le allocazioni di budget; a Torino non esiste un budget dedicato alla “Digital Transformation” tout court, forse sarebbe utile discuterne, individuare voci, obiettivi e strumenti e poi delegarne la messa a terra.
  • Stabilire livelli di servizio aggiornati e adeguati, e rispettare standard e “stato dell’arte” del mercato; su questo la fatica è improba, basti vedere l’eccentricità tecnica delle decine e decine di siti che fanno capo alla Città, spesso non adatti al mobile, poco accessibili, con una complessità d’uso anacronistica.
  • Sostenere l’ecosistema cittadino dell’innovazione; nel caso torinese anche solo “avere voce in capitolo”: in questi anni si è parlato tanto di droni e 5G, ma si sono dismesse le partecipazioni negli incubatori universitari, si è totalmente abbandonato il lavoro sui dati, si è delegata alle Fondazioni Bancarie o ad altri soggetti qualsiasi iniziativa di sviluppo sul territorio. Si pensi al progetto “Riconnessioni” per dotare le scuole di fibra e competenze oppure ai tanti bandi che hanno interessato anche istituzioni cittadine, senza nessun tipo di intervento o coordinamento da parte della Città; qualcuno mi ha detto “per fortuna, sennò non si sarebbe fatto nulla”, sarà anche vero ma rimane profondamente sbagliato.
  • Coordinare il lavoro di tutte le istituzioni preposte alla trasformazione digitale e favorire il dialogo tra istituzioni pubbliche e settore privato, per condividere competenze, idee e best practice; questo è un altro punto centrale: non si può “delegare” a qualcuno in toto l’attività, come si fa mi pare con CSI su molte cose e con 5T su altre. Serve che qualcuno si preoccupi di fare un benchmark, di ridiscutere strumenti e modalità, di confrontare le proposte. E, infine, di evitare che alla fine le cose finiscano nelle mani sempre degli stessi soggetti, per motivi più o meno ragionevoli: serve una gestione efficace ed efficiente, se gli standard sono rispettati e lo può fare con il miglior rapporto qualità prezzo un’azienda tedesca, allora “Willkommen in der Stadt“.
  • Valutare le competenze delle persone incaricate della Trasformazione Digitale all’interno delle istituzioni: altro punto chiave. Non è più tempo per “dato che ce lo dobbiamo tenere, lo abbiamo messo a fare il sito”; il digitale va preso sul serio, è strategico e servono investimenti su persone esistenti, per riqualificarle, o su nuove persone, capaci di parlare un linguaggio digitale contemporaneo. E servono anche strumenti contemporanei, wifi, intranet, regole contemporanee, possibilità di sperimentare qualcosa senza centodue passaggi burocratici a frenare ogni impeto di modernizzazione.
  • Stabilire relazioni con player nazionali e internazionali, e con altre città, per condividere strumenti, progetti e best practice di innovazione; se a Rotterdam, Lione, Lipsia o Google hanno delle buone idee e qualche strumento già disponibile, è buona norma replicare un’esperienza già fatta; se qualcuno è più bravo, tocca ascoltarlo. Ci sarà una città in Italia, Europa, Universo con un’anagrafe perfettamente funzionante? Come hanno fatto?
  • Costruire un network di advisor con i CDO, CTO e CIO delle principali aziende e istituzioni del territorio; ho riportato un po’ di acronimi, per noi boomer trattasi di responsabili del digitale, delle attività tecniche o più in generale dei processi di innovazione all’interno delle aziende: sono persone che, per fare bene il loro mestiere, devono essere aggiornate, leggere, studiare. Servono per consigli, per dialogare con il Tech mondiale, anche per ragionare insieme su come fare cose che potrebbero migliorare la vita di tutti (se sono sul territorio sono spesso anche cittadini, e dunque utenti avanzati dei servizi digitali della Città).
  • Presentare al meglio il posizionamento della Città sulle sfide dell’innovazione a livello nazionale e internazionale: ovvero, abbandonare il marketing e fare le cose fatte bene. Gli esempi di cose migliorabili che sono online, adesso mentre scrivo, sono così tanti da rendere il lavoro di chiunque ci si metta quasi banale: fare bella figura non sarà difficile, se si potrà decidere di chiudere, rendere omogenee le cose, strutturarsi in maniera contemporanea. Se Elon Musk cerca “Torino” su google, se la farà la domanda: “ma che accidenti è il Servizio Telematico Pubblico?“.
  • Dialogare costantemente con i cittadini, facendosi carico di guidare un processo di aumento della consapevolezza e delle competenze: non è difficile, ma bisogna impegnarsi per rendere le cose comprensibili, i servizi utilizzabili, le interfacce sensate. Avete mai pagato un servizio mensa? Prenotato un appuntamento in anagrafe? Cercato un’informazione sul traffico? Bisogna ascoltare, migliorare, insegnare se necessario, imparare per lo più.
  • Migliorare la connessione tra tech company e aziende del territorio, per favorire l’aumento generale delle competenze digitali: diciamo la versione “business” del paragrafo precedente, una città contemporanea cerca di favorire un percorso evolutivo di tutti i soggetti, cittadini e aziende.
  • Definire un processo di valutazione continua, e stabilire parametri e obiettivi; un punto centrale in un mondo che deve fare della sostenibilità e della perequazione il suo mantra. Un Chief Digital Officer non deve fare il figo con i droni, ma misurare costantemente l’impatto sociale di ogni novità; non deve esaltare gli “eroi delle exit”, ma far crescere tutte le PMI e diminuire il tasso di disoccupazione giovanile anche favorendo l’accesso ai cosiddetti “nuovi lavori”; in generale, non deve fare marketing con la tecnologia, ma semmai imparare ad usare la tecnologia per il marketing della città.

Non è un mestiere banale quello di un Vero Capo della Tecnologia, e quello del Vero Capo della Tecnologia di Torino si preannuncia come una fatica improba. Troverà un sacco di difficoltà, ed è bene elencare anche queste, utilizzando come spunto un lavoro benemerito dell’OECD.

  • Leader politici che non si fanno promotori dell’innovazione: basti pensare a come si parla di e-commerce sul territorio, quasi sempre sottolineando i rischi e raramente le opportunità.
  • Scarsissimi incentivi ai dipendenti che cercano di innovare e cambiare le cose: chi lavora al servizio del pubblico dovrebbe essere misurato sulla sua capacità di innovare e favorire il progresso della Città, così come tutti quelli che sventolano la bandiera del “bene comune”. Poche chiacchiere, numeri e idee, premiare chi rischia per migliorare.
  • Budget ridicoli, o bizantini, o costruiti con incompetenza: toccherà ridiscutere e ripensare quasi tutto, non necessariamente per buttare via tutto, ma sicuramente per collocare le cose in una prospettiva d’insieme ed all’interno di una strategia chiara.
  • Ed ancora, budget frammentati, collocati in silos sconnessi e non dialoganti: qui dovrei fare l’elenco dei siti “Torino Qualcosa” o “Qualcosa che finisce con TO o inizia con TO”. Tanti piccoli poteri, ognuno per conto suo, senza mai una sintesi.
  • Incapacità di ricavare dai dati le informazioni di sintesi necessarie a prendere le decisioni: se proprio lo vogliamo fare il tunnel, possiamo discutere del traffico dati alla mano? Dopo la propaganda elettorale, la città dei 5/10/15 minuti e i servizi diffusi, come si fa concretamente a decidere dove decentrare, dove riaprire fermate del bus, dove collocare le cose per migliorare concretamente la vita altrui?
  • La cultura della delega e della semplificazione: “chiamiamo il consulente”, “facciamo un evento”, “intanto esce il comunicato”; invece serve ricerca e ascolto dei cittadini, ed evitare di partire senza i fondamentali, senza un capitolato perfetto o senza una visione chiara.
  • L’eterna campagna elettorale: io prevedo che chi dovrà occuparsi di anagrafe, dati, tecnologia nelle scuole, mobilità sarà comunque nel mirino di chi non comanda in quel momento. Anche per questo sarebbe il caso di avere un Chief Digital Officer benedetto Urbi et Orbi anche da chi sta all’opposizione, un sostegno trasversale nell’ottica dell’interesse collettivo: serve qualcuno che guadagni bene, abbia risorse, possa dialogare alla pari con sindaco, giunta, consiglieri, fondazioni, imprese, banche. Non un trombato, un pupazzo o un cortigiano, ma un professionista serio con un mandato e delle regole di ingaggio chiarissimi.

Le difficoltà arriveranno anche dall’opinione pubblica che, in parte non minoritaria, chiederà conto di soldi spesi per cose che non capisce: “perché non sistemate i marciapiedi invece di occuparvi di stronzate digitali”? Servirà qualcuno che possa dimostrare come l’innovazione consenta di progettare marciapiedi meno fragili, di prevenirne la rottura, di fare manutenzioni non randomiche ma programmate con un po’ di intelligenza (anche artificiale), di raccogliere e organizzare le segnalazioni per poi verificare gli interventi, et cetera.

Infine, ma all’inizio, bisognerà evitare che ogni iniziativa venga bloccata dall’Istituzione concorrente (la Regione), o dall’Amministrazione Centrale, dall’Europa, dalla vacatio legis, dalla troppa burocrazia, dalla astuta tecnica luddista di qualche lobbista.

Questa è forse la parte più difficile, ed è per questo che, quando si vota, si dovrebbero scegliere persone che si impegnino non solo a non ostacolare questi processi, ma a farsi carico di facilitarli in ogni modo, anche se sarsanno altri quelli illuminati dai riflettori.